Paul Cayard

©Rolex cup
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Davide Burchiellaro per Panorama (06/07/2000)  ©Mondadori Editore
SKIPPER AL BIVIO I NUOVI PROGETTI DI CAYARD
PAUL NEI MARI DEL MARKETING E’ il velista più carismatico. E ora vuole sfondare nello sport business, con i miliardi della new economy.
Testo: Alzi la mano chi, almeno una volta durante le ultime febbricitanti
notti di Luna Rossa, non ha pronunciato la fatidica frase: “Se al
timone avessimo Paul Cayard…”. Perché con tutto il rispetto per l’
algido soldatino bertelliano Francesco De Angelis e per il roccioso
kiwi Russell Coutts, la figura di skipper più viva nell’ immaginario
popolare italiano rimane quella del volpino coi baffi e la voce
nasale: Paul-Pierre Cayard. A dimostrazione, gli stuoli di fan di
ogni età che all’ ultima Nations Cup di Trieste lo hanno assalito,
corteggiato per un autografo e vezzeggiato, lasciando in secondo
piano gli eroi di New Zealand, vincitori dell’ ultima America’ s Cup.
Quarantuno anni, due figli, laureato in business management alla San
Francisco University, Cayard ha raccontato a Panorama la svolta
prossima ventura nella sua professione. Tra disillusioni e
riflessioni su uno sport mai come ora giocattolo preferito dei
miliardari. La prossima America’ s Cup sarà nel 2003 ma è già partito
uno skipper-mercato miliardario. Lei che cosa farà? Ho passato gli
ultimi mesi a riflettere. Con America One ho provato la formula del
branding, vendere azioni commerciali alle aziende su team e barche.
Ho raccolto 30 milioni di dollari (60 miliardi di lire). Non posso
prenderne di più il prossimo giro. Dopo Auckland il valore
commerciale della Coppa negli Usa non è cresciuto. Per la prima volta
non c’ era una barca americana in finale, per la tv non esiste più.
America One è stato il team che è andato più lontano, potrei restare
a galla. Ma l’ effetto Bertelli ha fatto entrare nella sfida i
ricconi della new economy: l’ industriale svizzero Ernesto Bertarelli
della Serono (che ha già assoldato Russell Coutts di New Zealand,
ndr), Larry Ellison della californiana Oracle e Craig McCow di
Seattle. Con Prada, quattro sfidanti da 80 milioni di dollari pronta
cassa (160 miliardi di lire). Non posso competere con quei budget. Si
dice che lei abbia già venduto le sue barche a Ellison. Siamo molto
vicini alla firma, stiamo mettendo a punto i dettagli. Probabilmente
coordinerò, ma non sarò skipper. Ma come, lei che ha lanciato la
figura dello skipper “puro”, manager di se stesso, cede ai nuovi
“billionaires”? E’ difficile, America One è una mia creatura, ma
sarebbe frustrante continuare senza un dollaro. L’ odore dei soldi
attira i migliori velisti e progettisti, perderei il potere di
scegliere le persone. Non ho rimpianti, sono il veleno della vita.
Guardo avanti. Fra 10 anni mi vedo come un Prost della vela, un
manager sportivo. Ho imparato i segreti dello sport marketing.
Lavorerò su questo. Se la Coppa arriva in Europa, si faranno affari
d’ oro. Quanto ha guadagnato con l’ ultima America’ s Cup? Per il
doppio ruolo di skipper e manager ho preso 15 mila dollari (30
milioni di lire) al mese. Non guadagnavo così poco dall’ 87. Basti
pensare che l’ ingaggio svizzero per Coutts è di 2 milioni di dollari
(4 miliardi di lire per tutta la sfida). E ho rischiato molto. Ho
dovuto mettere personalmente una grossa cifra. Avesse visto come s’ è
infuriata mia moglie. Se, a pari opportunità, avesse la possibilità
di correre per un team italiano e uno americano, quale sceglierebbe?
A uguali opportunità di vittoria e guadagno, gli Stati Uniti. E’ più
comodo. Ma se una delle due offerte fosse più allettante dal punto di
vista delle performance e dei soldi, la prenderei in considerazione,
qui mi sento a casa. Anche se dovrei sacrificare ancora moglie e
figli. E’ vero che sua moglie odia l’ Italia? Qui Icka si è trovata
male, è rimasta troppo svedese, ha barriere culturali verso la
mentalità latina. Io ho sangue francese, sono cresciuto nel Sud della
Francia con la nonna, mi sento sudeuropeo. Ma se la chiamasse
Bertelli? Correrebbe per lui? Certo, tutto è possibile, non pongo
limiti alle opportunità. Si parla di una liaison con Ferragamo. Sono
consulente di Leonardo per i cantieri Swan. Ha risanato i conti e ha
passione per la vela. Mi ha coinvolto per preparare il team della
prossima Whitbread, il giro del mondo, nel 2001. Adesso secondo lei
Bertelli che cosa dovrebbe fare. O non fare? Affinare la tecnica del
“match race”. Ad Auckland il team Prada era avvantaggiato dal budget,
il più alto di tutti. Ora arrivano altri miliardari, tutto si gioca
sull’ equipaggio. Che idea si è fatto degli industriali italiani di
oggi? Negli Stati Uniti ormai un’ azienda di successo si quota subito
in borsa, oppure fallisce. Qui l’ imprenditore vero esiste ancora. E’
una garanzia per la vela. Lei accusò Tangentopoli di aver bloccato l’
idillio tra la vela e gli industriali. Mani pulite, Tangentopoli…
mah… Forse l’ Italia ne aveva bisogno, la vela no. Nessuno scese
più in campo. Per fortuna Bertelli ha riaperto la strada. Ripensa
spesso a Raul Gardini? Sempre. Per me è stato un padre. Non ci ha
unito solo la vela, è stato fondamentale nella mia crescita umana.
Per esempio? Gli confidavo i sensi di colpa verso la famiglia. Lui mi
diceva che ero un buon modello di padre che lavora e ha successo. Ho
conosciuto il velista e l’ uomo, non il finanziere. Per me era
generoso e uomo d’ onore e, a differenza degli altri coinvolti, ha
deciso che era più onorevole uscire di scena alla giapponese. Dunque
ora ci aspetta un Cayard tutto business e famiglia. Dall’ 83, vado
avanti e indietro, sto a casa una settimana, mi sento in colpa e
copro i miei figli di regali. Poi scappo, per mia moglie è un caos.
Adesso Danny e Alexandra hanno 11 e 10 anni, a 18 se ne andranno, ho
sette anni per stabilire un rapporto. Mio figlio non va in barca,
preferisce il calcio. Forse è un messaggio che devo cogliere.