Eva Herzigova

Eva Herzigova
Eva Herzigova

photo: ©Karl Lagerfeld per Marie Claire (2008)

Davide Burchiellaro per Marie Claire (1/2009)  ©Hearst Marie Claire Italia 2009

Parigi, interno notte. Come tutti i maestri, anche Karl Lagerfeldalle 4 inoltrate è nel pieno delle energie creative. E quando arriva la fiaschetta d’acqua, la sua modellaEva Herzigova , intuisce subito (con terrore) l’idea che ballonzola in testa allo stilista fotografo: una serie di scatti finali molto bagnati. Che l’abbia fatto per tonificarla dopo dieci ore di set estenuante? A lei il dubbio è rimasto, ma davanti al risultato, le immagini del mese di dicembre, si arrende, come sempre, al talento di colui che considera un padrino professionale e spirituale dal 1991.

Durante lo shooting per il calendario 2009 di Marie Claire , l’intesa tra i due non è stata certo quella di una “prima volta”, ma il clima che si respirava sul set lo era e, dice Eva Herzigova, «rendeva tutto molto divertente»: il primo calendario di Marie Claire, il primo di un giornale femminile, il primo firmato da Karl Lagerfeld-fotografo. Sul suo essere “prima donna” in chiave biblica, invece, Eva non ci sta e ride: «Non ho mai letto la Bibbia, ho fatto scuole comuniste. Comunque non intendo sentirmi responsabile dei pessimi destini del mondo».

A 35 anni, con 20 di carriera da festeggiare nel 2009, la signora Herzigova è una mamma apprensiva con molti contratti luxury da onorare (campagne per Chopard, Dom Perignon, Louis Vuitton , SwishCavalli ), che per Marie Claire si è divertita a giocare con personaggi iconici e stili che citano il Novecento e le sue donne fumetto. L’abbiamo incontrata a Torino, dove vive per qualche mese all’anno con il suo Gregorio Marsiaj, imprenditore, e con il piccolo George.

In quale mese del calendario troviamo la vera Eva Herzigova?

Aprile e settembre. Ci sono le mie due anime, quella forte, severa, disciplinata e quella esattamente opposta, infantile, fragile, naïf. Però è stato divertente calarmi nei panni di tutte queste donne di Karl, così evocative. C’era tutta la sua grande cultura iconografica e una testata come Marie Claire Italia dietro. Un copione perfetto. Io l’ho interpretato. Lavorare con lui è una sorpresa continua, ma ti puoi sempre fidare, dall’idea che lo muove all’editing digitale, fino alla carta che sceglie per la stampa.

È facile seguirlo, essere quello che ti chiede?

Per me lo è sempre stato. Dall’inizio, dalle prime collaborazioni come modella fino agli ultimi progetti insieme, con lui che era già passato dai backstage all’obiettivo. Un servizio per Vogue Australia e una photostory alla quale tenevo tantissimo, ispirata a Il ritratto di Dorian Gray, uno dei miei libri preferiti.

Chi interpretava Dorian Gray?

Io e un modello. Con trasformazioni di trucco da far paura. Karl ha una regia impeccabile.

Fuori dal fashion system chi è Karl Lagerfeld?

Un saggio. Una persona generosa. Uno che mi regala dei libri. Uno che ha esperienze da raccontare e una cultura da elargire senza alcun tipo di esibizionismo.

Racconti un rapporto maestro-allieva, ma anche tu in questi vent’anni sei diventata un’icona.

Non credo di poterlo dire io.

Lo dicono le borse Louis Vuitton che portano il tuo nome… Ma esistono veramente?

Me l’ha detto anche la tata di mio figlio George, stento a crederci.

*PAG*

Non essere modesta, sei una top simbolo degli anni Novanta, l’emblema di una rivoluzione, quella delle modelle dell’Est.

Non me ne sono resa conto. Sono partita da Litvinov per Parigi a 16 anni, nel 1989. In Cecoslovacchia c’era una rivoluzione in corso e di me interessava il lato esotico. Tutti volevano vedere che specie di umani abitavano quelle terre che si stavano liberando dalle dittature. Ma io non ci pensavo.

E a cosa pensavi?

Che finalmente non avevo i genitori alle costole e potevo uscire per i fatti miei in una grande capitale europea. Vengo da una famiglia severa, di lavoratori disciplinati. Se andavo al cinema a Litvinov quando tornavo dovevo raccontare la trama del film per dimostrare che c’ero stata veramente.

Che ricordi hai della folla in piazza San Venceslao?

Mi ricordo le candele, certo. C’ero anch’io in piazza, ripresa da una troupe di Canal Plus, la tv francese che mi aveva eletto a esempio della rinascita ceca. Ricordo mio padre, intervistato nel suo ufficio alla miniera, che sentenziava pessimista: «Qui non cambierà mai niente, qui i movimenti falliscono». Si sbagliava.

Già, ma intanto tu vivevi a Parigi.

Vivevo, o meglio, sopravvivevo con 500 franchi al mese e 12 casting al giorno. Metà dei soldi li spendevo per l’abbonamento del metrò. Non c’erano certo le Mercedes che mi scarrozzavano in giro. Il resto andava per mangiare e vestirmi. Abitavo nell’appartamento della proprietaria dell’agenzia, perché i miei avevano preteso che stessi con un adulto e non in condivisione con altre modelle.

Credi di aver contribuito all’invasione delle modelle dell’Est sulle passerelle?

Ogni tanto ci penso. In un paese come il mio, dove c’era l’abitudine a sentirsi intimoriti e sottomessi, soprattutto tra donne, un esempio di successo può aver fatto sognare altre ragazze. Forse succede anche oggi: l’Est è ancora un mondo culturalmente maschile. Se lavoro con le più giovani, mi rivedo allo specchio vent’anni fa. Mi è appena capitato con Anna Selezneva, 18 anni. Io la trattavo alla pari, da professionista. Ma lei, nonostante avesse all’attivo un po’ di campagne, era intimidita.

In Italia non c’è una cultura maschilista?

In Italia ci sono delle mitologie: la mamma e la casalinga, soprattutto al sud.

Tuo marito ti vorrebbe casalinga?

No, ma forse gli piacerebbe.

Secondo te le italiane invidiano o temono le donne dell’Est?

Non credo, non quelle che conosco io e che frequento qui a Torino. Che motivo avrebbero?

Si dice che siate statisticamente immuni dalla cellulite.

Ma è una balla. Le italiane sono tutte bellissime e sanno curarsi come poche del resto d’Europa, fino a dimostrare la metà dei loro anni. Certe statistiche dovrebbero rimanere nei cassetti dei direttori marketing dell’industria cosmetica.

*PAG*

Che cosa ti ha aiutato a tener duro fino a oggi?

La passione per la fotografia. Fin dall’inizio, a Parigi, sfilare non mi interessava. Non sognavo di essere Linda Evangelista o Twiggy o Veruscka, ma strappavo le pagine con le campagne più belle e le attaccavo al muro. In agenzia non dicevo: «Voglio essere come questa modella», ma cose molto più folli tipo: «Voglio lavorare con Peter Lindbergh». A 17 anni avevo già studiato il who’s who della fotografia che conta.

Perché non hai studiato fotografia, allora?

Ci ho provato, in patria. Ma dopo tre lezioni passate a immortalare un uovo me ne sono andata. Sarà anche l’oggetto migliore per imparare l’illuminazione, però… Da quindicenne mi scocciavo.

Quale foto ti ha fatto scattare la passione?

Una foto in bianco e nero che ritrae mio padre. Sembra James Dean, non è in posa, ha una giacca di jeans e un’espressione fighissima. Lui era figo, era campione nazionale di nuoto. Ma quell’immagine mi trasmette il senso di fragilità e bellezza della vita.

In quegli anni che cosa ti sei persa per colpa del lavoro?

Ho coltivato il lato nascosto di questo lavoro e forse ho guadagnato più di quello che ho perso. Non me ne è mai fregato niente del glamour, dello status di celebrity. Io volevo viaggiare, imparare le lingue, conoscere nuovi paesi. Si chiama esperienza di vita, una scuola che ti insegna a vedere i tuoi limiti e le tue responsabilità. Questa consapevolezza di solito si raccoglie a 50 anni. Io, per la vita troppo veloce che ho vissuto, la sperimento ora. Il prezzo però è alto. Catapultata in un mondo adulto, ho perso il microcosmo delle “migliori amiche” che ti fanno sentire meno sola. Sto cercando di ricrearlo ora, approfittando della maternità. Così come sto cercando di recuperare le letture importanti e lo studio.

Torni a scuola?

Ho nostalgia del tempo scandito da compiti ed esami. Il mettersi alla prova studiando. Oggi compenso comprando molti libri. Ma fare da sola non è così bello.

Che libri compri?

Biografie, romanzi, classici, e soprattutto libri di fotografia e arte. L’ultimo è un lavoro di Josef Koudelka sulla Praga del 1968.

Un bel cambiamento rispetto agli anni Novanta.

Già. Oggi li vedo come anni evanescenti. Due viaggi al giorno in Concorde, una vita fuori misura, anche se divertente. Non ho rimpianti, è stato bello. Ma è molto meglio adesso.

Anche in coppia?

Non ho mai avuto una relazione che migliorasse con il tempo come quella con Greg. C’erano sempre inizi fortissimi, poi il classico scemare nei mesi successivi. A volte non riesco a credere che vada così bene.

Quando sei sbarcata nei primi show, intorno a te c’erano Claudia, Naomi, Cindy. Non dirai che siete diventate subito amiche?

Siamo tutte un po’ amiche (ride). Io e Kate (Moss, ndr) eravamo le ultime arrivate. Le altre non ci hanno steso il tappeto rosso.

Parliamone.

Alla mia prima sfilata, con Azzedine Alaïa, le supermodel mi hanno fatto capire molto esplicitamente che ero l’ultima arrivata. Nel backstage, mentre ci stavamo truccando (allora si faceva da sole), una che non nomino mi ha tirato un cioccolatino. Un’altra, a fine show, ha offerto champagne a tutte tranne a me. Sono rimasta lì con il bicchiere vuoto in mano. Solo Jasmine Le Bon è insorta e mi ha difeso. Poi mi ha portato a fare shopping. Siamo andate da Mariage Frères a comprare il Marco Polo, il suo tè preferito. È stata una lezione. Jasmine mi è rimasta nel cuore.

Quale altro personaggio che hai conosciuto ti ha lasciato un segno?

Vaclav Havel. L’ho incontrato al Film festival di Carlovy Vary. Ero seduta tra Milos Forman, lui e lo sceneggiatore Peter Shaffer. Mi ha colpito quanto fosse alla mano con me: il mio presidente!

*PAG*

A proposito di Festival, a settembre eri a Venezia. Che ne pensi del controverso documentario su Valentino?

L’ho trovato un film comico anche se puntuale nel racconto di come nasce un abito d’alta moda. Non è difficile capire il dissidio tra lo stilista e Marzotto. Il primo è un genio che vive di creatività, va preso com’è. A Matteo toccava il lavoro più duro, vendere quei capolavori. Forse solo Tom Ford è manager e creativo al tempo stesso.

Ha ancora senso l’alta moda oggi?

Non è importante per gli abiti ma per il mestiere che c’è dietro. L’artigianalità ha un valore incredibile che non può essere disperso scegliendo le produzioni in serie.

E la moda che strada sta prendendo?

La moda fa esprimere la propria personalità e adesso è portatrice di speranza perché un colore vale più di un marchio nel dare spazio alle emozioni.

Perché hai detto che è finito il tempo delle Paris Hilton?

Sono stata fraintesa. Ho solo detto che negli ultimi tempi si sono avvicendate diverse figure nella giostra fashion. Prima le top model, poi le cantanti, poi le attrici. Infine i figli, o figlie, di papà: secondo me il loro momento d’oro è finito, e lei è appunto una figlia di papà.

Se fossi stata americana avresti votato Obama?

Ho tifato Obama fino allo scandalo Lehman Brothers, poi ho cominciato a pensare che l’esperienza di McCain sarebbe stata più utile. Ma quando ho visto Sarah Palin mi sono parecchio preoccupata.

Quali sono le tue emozioni più forti, oggi?

Mio figlio George (18 mesi, ndr). Penso solo a lui, forse troppo, sono consumata dal ruolo di mamma. Sono apprensiva. Rivedo me stessa attraverso di lui e vorrei che avesse ricordi positivi. Faccio di tutto ma sembra un’impresa impossibile. E a volte non è facile farlo capire a chi mi sta intorno.

Cosa vuol dire per te in questo momento essere sexy?

La parola sexy non mi piace e non mi appartiene. Forse è eccessivo, ma la associo alla volgarità. Penso alle Barbie. A un’emozione solo visuale, senza sostanza. Ci può essere un’immagine sexy esteticamente impeccabile, ma io preferisco parlare di passione.

Quando hai lanciato la tua linea di beachwear non hai pensato a linee sexy?

Ho pensato solo alla tecnologia. I costumi sono brutti, fatti male, con tessuti e colori orrendi. Rimangono bagnati, freddi, poco confortevoli. La mia idea non era farli più sexy ma tecnologicamente migliori. Ciò che mi inorgoglisce è che per la comunicazione, nel 2004, mi sono inventata un piccolo film. Cosa che oggi stanno facendo i marchi più importanti.

Dove appenderai il calendario di Marie Claire?

Non lo farò, credo. Ma chiederò un paio di stampe a Karl. Ne regalerò un po’ di copie a mia mamma e alle amiche. Invece Greg sì, credo che lui lo metterà da qualche parte. Speriamo. E tu, dove lo appendi?