Ci hanno insegnato che i gruppi, più grandi sono, più risultati ottengono. Ci siamo abituati a lavorare per progetti di gruppo a scuola, nello sport con una squadra, e creiamo task force per raggiungere grandi obiettivi. È ragionevole pensare che la regola sia universale. In realtà questo è vero nella maggior parte dei casi.
Ma a volte, l’effetto Ringelmann dimostra il contrario.
Lavorare in team significa togliere responsabilità ai singoli o è un incentivo a condividere lo stress?
Lavorare in team comporta riunioni spesso di una noia mortale, ma c’è gente che le rende ancora peggiori isolandosi. Quando nessuno è attento a ciò che ciascuno sta facendo, ognuno si sentirà autorizzato a continuare a cazzeggiare. Avete sperimentato nelle riunioni, quando la noia prende il sopravvento e ti trovi a pensare: «Ma Francesco è qui con noi? Sta sempre zitto…». Un classico esempio di deresponsabilizzazione generata dal gruppo. Francesco non sente la pressione di contribuire anche perché nessuno si è reso conto che non stava contribuendo. Più grande è il gruppo, più difficile è valutare le prestazioni individuali. E il rischio è che alla fine il pensiero unico sia “qualcuno lo farà questo lavoro, ma non io”.
Siamo tutti a rischio di “social loafing”?
Anche i liberi professionisti possono sperimentare l’effetto Ringelmann. Quando si lavora sui propri progetti, non c’è altra scelta che fare il lavoro, nessuno lo farà al nostro posto. Ma quando si collabora con gli altri su un progetto, la pressione si affievolisce. Se il progetto affonda, non è necessariamente colpa tua. L’effetto Ringelmann va al di là del luogo di lavoro. E tra le sue conseguenze c’è, per esempio, la decisione di non votare perché convinti che non farà la differenza.
Francesco al famoso meeting non è entrato in malafede, pensando a come bypassare una rottura di scatola. Il punto è che gli altri sono andati al cuore del problema e lui no. C’è gente semplicemente pigra ma la maggior parte non si isola di proposito. Arriva, controlla un attimo la posta elettronica, le liste di cose da fare. Ma a meno che non si sia il protagonista della giornata con la consegna o la presentazione di qualcosa al proprio capo, si tira a finire la giornata.
L’impatto dell’effetto Ringelmann può sembrare piccolo considerando una sola riunione, ma è tossico per la produttività di un’azienda. Sempre. Quando le persone all’interno di una squadra rallentano i progetti sono meno efficienti, le responsabilità sono sbilanciate e altri dipendenti sono più oberati di lavoro. L’intera azienda soffre, e così fa ogni persona coinvolta. Il Francesco della situazione non persegue riconoscimenti e ricompense per il suo lavoro. Non cresce nella sua carriera, non sviluppa nuove competenze. E di certo non prova soddisfazione facendo il minimo. Francesco, rischia di perdersi. Come chiunque, lavorando in team si senta contagiato dall’effetto Ringelmann.
La dimensione ideale del gruppo
Ci sono momenti in cui avere prospettive diverse e una vasta gamma di competenze in un progetto è importante. E a volte il lavoro è semplicemente troppo per una sola persona. Quindi la domanda è: «Qual è la dimensione ideale del gruppo per una migliore produttività? Molte persone, come il CEO di Amazon Jeff Bezos, usa il parametro delle «due pizze»: «Se a un gruppo non bastano due pizze, il gruppo è troppo grande». Le prestazioni ottimali si realizzerebbero in gruppi di 3-9 persone. L’effetto Ringelmann, però, si farebbe addirittura già sentire appena si lavora in coppia. Il che significa che bisogna trovare una soluzione, perché non è possibile concepire l’idea di non lavorare in team.
L’effetto Ringelmann si contrasta in molti modi: in primis con una sorta di facilitazione. Stimolare tutti all’espressione di se stessi, facendo sempre leva sull’importanza del contributo di ogni persona. È spesso con la sensazione di essere indispensabili che gli individui sentono proprio il possibile successo del progetto. Un sistema premiante che misuri il loro sforzo, la definizione di obiettivi specifici per ogni persona e la stimolazione di una competizione virtuosa tra i membri del team sono già un buon punto di partenza.
Evitare l’effetto Ringelmann per lavorare in team a partire da noi stessi
Se sperimentiamo l’effetto Ringelmann su noi stessi come possiamo reagire? In realtà basta chiedersi: Come posso essere davvero utile? Quando ti chiedi questo immediatamente diventi consapevole dei bisogni intorno a te. Vedi dove sono i punti deboli e trovi un modo per affrontarli. La domanda avvia il cervello e sposta i pensieri da «qualcuno troverà una soluzione» a «posso aiutare risolvere questo problema?». A volte, la risposta a questa domanda non rientra nella propria competenza o nel proprio profilo professionale. In alcuni casi basta offrirsi di andare a prendere un caffè per tutti o mettersi a prendere appunti dando la sensazione che la conversazione ti stia arricchendo. In quei tempi, fare il caffè. Altre volte, si può convincere te stesso che si sarebbe più utile, lasciando le altre persone conducono la conversazione. L’importante è sapere che quando si sceglie di essere utili, si sta contrastando l’effetto Ringelmann.
Margareth Sheik