Alessandra Ferri, la donna volante e il senso delle cose senza tempo

Intervista Alessandra Ferri su Marie Claire Likes del 15 febbraio 2017

di Davide Burchiellaro
Esistono personalità ancorate al pavimento ed esistono personalità che volano con la forza del pensiero, come capita in certi sogni. Alessandra Ferri ha 50 anni ma, come a 19, esprime ancora quella grazia di danzatrice che sembra innaturale. Però non lo è. Lei sa volare e dunque ne concludi che l’unico modo di farle un’intervista sarà svolazzare, goffamente, per starle dietro. Che sarà inutile e impossibile portarla a terra. Per fortuna la missione è indagare sul concetto di timeless, su cose, persone e momenti senza tempo.
Il concetto di timeless ha più a che fare con l’arte, con l’anima o con la memoria?
No, ha a che fare con il presente. Con quel momento in cui riusciamo a vivere in contatto con la nostra vera essenza, il nostro vero sé. Quando siamo nel presente, davvero, siamo senza tempo. La memoria non c’entra, l’anima sì è senza tempo e l’arte anche perché, arte è entrare in contatto diretto con l’anima e farla materializzare.
A questa consapevolezza sei arrivata attraverso un percorso o fa parte dal tuo modo di essere da sempre?
Se vado a rileggere quello che ho dichiarato in passato ai giornali mi rendo conto che ha sempre fatto parte di me. Però negli ultimi tre anni è successo qualcosa.
Ovvero? Questo contatto “timeless” è diventato consapevolezza, mentre prima era un’esperienza che vivevo d’istinto. Ora è tutto chiaro e dentro di me la vita è molto manifesta. Mi sento all’interno di un percorso, che è anche uno stile di vita, un motto.
Sembra di sentire parlare un guru della meditazione, o della più moderna mindfulness…
Da sempre mi considero una persona fortemente spirituale, il mio lavoro aiuta e sicuramente innesca una forma di meditazione. C’è tensione continua verso l’essenza. E a farla esprimere al di là del mio ego.
Se dovesse descriverla con un’immagine? È una fiammella, appunto “timeless”, senza tempo, e rappresenta la mia passione e alla fine anche il motivo per il quale ancora sento di dover danzare.
Rispetto a quando hai iniziato, precocissima, a danzare da professionista, non pensi che oggi le persone consumino troppo velocemente il proprio tempo? È più difficile definire qualcosa “eterno”?
Noi siamo eterni, poco importa crederci o meno, saperlo definire o meno è ininfluente, perché siamo energia eterna, dunque non si può rispondere alla domanda.
Ok per gli umani, ma le cose? Qual è l’oggetto, l’accessorio più “timeless” che è entrato nella tua vita?
Ho appena danzato nella Giulietta alla Scala, uno spettacolo importante, di peso. Ecco, ho indossato gli stessi costume della mia prima volta nel ruolo di Giulietta, quando avevo 19 anni.
Caspita! Devozione sacrale o scaramanzia da palcoscenico?
Devozione sacrale, indubbiamente. Mi hanno accompagnata per tutta la vita, per tutta la mia carriera. Ci ho vissuto dentro. Quei costumi hanno respirato la mia energia. Quando li indosso io non ho età.
Succede anche con i personaggi e le opere che porti in scena?
Tutti i personaggi sono in qualche modo senza tempo. Sono archetipi e quindi appartengono a tutti indipendentemente dall’età. Appartengono all’eterno. Anche di questo ho preso consapevolezza maturando, vivendo i cambiamenti, le cose che mi sono accadute. La vita si riflette inesorabilmente sulla scena. E viceversa.
In questi personaggi femminili (XXXX), combattenti, sofferenti, energetici che siano, all’interpretazione associ in qualche modo un messaggio diretto alle donne?
È sempre un messaggio, ma a lanciarlo non sono io, è la narrazione stessa del personaggio. Di certo io non lo razionalizzo, non lo strumentalizzo, lo interpreto.
Secondo te che cosa pensano le persone del pubblico mentre ti guardano danzare?
C’è e ci deve essere uno scambio con loro. Io vivo il personaggio e lo dono. E da lì, il messaggio parte e va dove deve andare. E ha una sua vita fuori dal mio controllo.
Che l’arte non debba essere didascalica è certo… Però alcune donne della letteratura possono essere emblematiche nel modo di affrontare la vita, no?  
Penso che siano simboli di tutti, uomini e donne, perché più che personaggi sono stati d’animo che tutti provano. Ognuno di noi ha dentro una Giulietta o una Carmen. Sta soltanto a noi decidere da quale aspetto siamo colpiti. Per andare in scena io stessa mi focalizzo su alcuni aspetti, ma il personaggio parla a tutti, perché si tratta di sentimenti e di anima.
Ogni personaggio è un’anima universale ed eterna… Si, ma ogni spettatore ha il diritto di vederci una piccola percentuale della propria verità a seconda della sua personalità e del momento che sta vivendo.
 
Sento che Alessandra Ferri si sta avvicinando a parlare d’amore e di fine (o non fine) dell’amore. O di amore senza tempo. Realizzo che forse non ha parlato d’altro. Quel «fino a tre anni fa» che va ripetendo essere stato una sorta di crinale della sua vita e della sua carriera coincide con la separazione dal fotografo Fabrizio Ferri, suo marito per 15 anni, noto lettore di anime altrui attraverso le porte degli occhi e degli sguardi. «Un dolore devastante», dice parlando dell’addio a Fabrizio. Che sia stato proprio lui l’unico a riportarla a terra dai suoi voli? Che sia stato sempre lui a farle riprendere quota? L’unica certezza è che non si può chiudere una ragazza volante in un appartamento dell’Upper East Side. Soprattutto dopo averle dedicato un libro dal titolo Aria.
 
Deve esserci un personaggio con una verità interiore un po’ più simile alla tua, dài…
È evidente. Che mi capiti di avere a che fare con personaggi con un vissuto in cui mi ritrovo è naturale. Giulietta è il personaggio che riesce sempre a farmi fare il punto su me stessa. Ma non è condizione necessaria: nel 1997 ho interpretato Lizzie Borden, una che aveva ridotto in 42 pezzi a colpi d’ascia entrambi i genitori. Con lei, per esempio, non condivido alcun vissuto.
Lo credo bene…
Sono di certo più Giulietta o Leah di Cheri. Eppure sono stata in grado di mettere a fuoco anche un piccolissimo pezzo che di Lizzie alberga dentro di me. Naturalmente spero di non diventare mai come lei.
Oddio, sì molto meglio Giulietta. E proprio con Romeo e Giulietta, che hai portato a 50 anni alla Scala, tutti sono esplosi in sussulti di ammirazione. Forse perché più che un riscatto personale e professionale è parso una beffa contro l’età?
Qui non si tratta di combattere l’età, ma di capire per quale verso guardare il mondo. Sul versante materiale gli anni esistono, sul versante spirituale no. Il corpo non è altro che un vestito che accompagna lo spirito. Dipende da quale aspetto muove la nostra identificazione.
Dice Colette che un corpo di buona qualità dura molto tempo…
Un corpo di buona qualità ha come motore l’entusiasmo per la vita, un corpo di cattiva qualità si concentra sui propri guai. Ed è un corpo che si piega troppo alle convenzioni sociali, all’omologazione. Questo peraltro è un ottimo modo di rimanere intrappolati dentro le nostre età.
La famiglia può essere una trappola? Può esserlo nel momento in cui entriamo in un ruolo definito, la moglie, la madre. Questo ci ammazza.
Ti è capitato? Sì. Ma fortunatamente me ne sono accorta. È solo una trappola che non ha nulla a che fare con l’amore verso i figli o il marito, o la presenza continua accanto a loro. La presenza è qualcosa di molto più profonda dell’essere lì. È la presenza del proprio sé.
Le parole con cui hai spiegato il concetto alle tue figlie, Emma e Matilde. Con naturalezza ho detto: “sentite ragazze io ho bisogno di tornare a ballare, sono stufa di questi ruoli casalinghi, dei vostri compiti, il triangolo isoscele mi fa vomitare, ho bisogno di essere chi sono veramente, così sarò felice e sarò una madre meravigliosa”. Alla fine i figli si contagiano con la tua energia positiva e capiscono che sei una guida, non una badante.
Ti meriti una domanda da casalinga timeless allora: che cos’è che scade prima nel tuo frigo?
Bisognerebbe averne il controllo, del frigo. Pochi giorni fa mia figlia voleva fare una torta e abbiamo trovato del lievito, ma era scaduto.
Da quanto? Da 21 anni…
Beh, questa è veramente grave.
Risale a quando mia madre veniva a New York e mi portava il Pane degli Angeli, e io conservavo le bustine come fossero oro.
Chi è stato invece a lasciarti qualcosa di veramente timeless? Roland Petit. Il maestro, anche di vita, che mi ha dato la vera eleganza della semplicità, rigorosa nei dettagli.
E che cosa vorresti lasciare alle tue figlie? La lezione numero uno, avere sempre il coraggio di essere se stesse.
Torneresti a una delle età delle tue figlie, ovvero 15 e 19 anni?
Non vorrei fare cambio con la vita di nesswuno, avere il desiderio di tornare indietro significherebbe negare la mia vita, rinnegare la danza che è diventata il mio mondo.
Però hai raggiunto l’apice giovanissima, non rimpiangi di aver sacrificato l’età della spensieratezza, non pensi di esserti persa quegli anni 80 così smodati e divertenti?
La parola sacrificio è quanto di più lontano ci sia dalla mia storia. Lavoro duro, certo, tutti i giorni. Ma è una passione, non è un lavoro. In me non c’è distinzione tra vita e danza. Benedico di non essere andata in discoteca negli anni 80, per me sarebbe stato un incubo. La pressione della responsabilità di una struttura enorme che si muove intorno a te a al tuo ruolo, quella sì, l’ho sentita. Ed è una scuola di vita pazzesca.
Come hai cambiato il modo di leggere il mondo in questi 30 anni? Forse quando ho iniziato c’era più leggerezza dentro e fuori di me, molta speranza nel futuro. Oggi c’è più introspezione, più presente.
È stato l’addio a Fabrizio Ferri a portarti qui? Non credi più al grande amore?
Non è proprio così… Ho sempre cercato l’amore eterno, la congiunzione di anime gemelle… Con Fabrizio è andata così. A volte la vita ti scuote con l’obiettivo di farti andare avanti. Ci fa sentire vulnerabili e fragili e terrorizzati. Ma poi è bello capire che quel sentimento è timeless, anche quando l’amore finisce. E che se finisce forse è un bene perché ti si aprono altre strade.
Dunque il “qui e ora” come eterno antidoto alla disillusione?
No, piuttosto l’unico modo possibile di godersi quello che di bello viviamo ogni giorno.
Il tuo pubblico capisce quello che sei e che fai?
Se trasmetti un’esperienza, se la condividi, sì. La presenza scenica non è data da postura o spalle larghe, ma dall’esserci, con la propria anima.
C’è differenza tra la tua iniziale determinazione e quella dei 20enni di oggi?
Nessuna, il talento autentico nasce in una persona su 2mila. E questa regola è timeless.
Che cos’è la perfezione? È un momento determinato dalla somma di infiniti momenti imperfetti. Se ci fosse stato un traguardo di perfezione non mi troverei su un palcoscenico alla mia età. Oltretutto la condizione per la ricerca infinita della perfezione deve passare dalla totale indipendenza dalle opinioni altrui.
Esistono anche luoghi “senza tempo”. Londra lo è. Lì convivono, in armonia, il passato, il presente e il futuro.
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