Intervista: 100 domande a Steve McCurry

Steve McCurry: i suoi occhi raccontano il mondo con immagini intense e gentili.

Il suo 2015 italiano inizia con un calendario, una mostra (McCurry – Oltre lo sguardo alla Villa Reale di Monza fino al 6 aprile), un calice di Montefalco. E un grido di battaglia: i fotografi non vanno in pensione

 
1. Ogni quanto guarda il calendario? Raramente.
2. Quindi non segna gli appuntamenti. No.
3. Da piccolo sognava di fare? Il giocatore di baseball.
4. Però è diventato fotografo. Colpa del cinema, volevo fare il regista. Poi ho capito che la fotografia era più spontanea.
5. Che cos’ha in più del cinema? Prevede l’avventura.
6. Qual è stata la foto che l’ha fatta innamorare? Un lavoro, Monsoon, del neozelandese Brian Brake.
7. Descriva ciò che ha provato. Oltre alla drammaticità dell’evento c’era altro. Avevo 11 anni, mi ha preso e mi ha portato in un altro mondo.
8. La prima foto che ha scattato? A una vicina, una ragazzina seduta sull’erba che guardava chissà dove.
9. A vederla ora le sembra inge-nua? No, conteneva il mio stile nel ritratto, semplice, diretto e in contatto con gli occhi.
10. Che cos’hanno in comune le persone quando sono oggetto di uno scatto? La paura che la propria immagine, e quindi l’identità, sia manomessa.
11. Il nervosismo rovina le foto? Si vede molto.
12. Qual è la sfida di ogni scatto? Stabilire il rapporto umano semplice che faccia dimenticare la macchina.
13. La crisi e la povertà aumentano la diffidenza? No, ma ricorderemo quest’epoca per la fototelefonino che ha reso tutti protagonisti.
14. Quindi il suo lavoro è diventato un gioco da ragazzi… Stranamente una reflex professionale spaventa ancora molto.
15. Quindi semmai è la reflex che è in crisi… No, dai.
16. Per quale immagine vorrebbe essere ricordato? Quello che vorrei ha ben poca importanza, perché sarò ricordato per il ritratto della ragazza afgana.
17. È vero che la ragazza afghana, rifotografata 17 anni dopo le ha fatto provare disagio per i suoi cambiamenti? Per prima cosa ero contento che fosse viva. Ma me l’aspettavo diversa. È comunque bella.
18. La foto del 1985 con la ragazza afgana è stata giudicata la più riconosciuta dai lettori del National Geographic. Come è andata, era “buona la prima”? Macché, avrò fatto 50 scatti.
19. Che cosa direbbe a un aspirante fotografo? Fotografare solo per il proprio piacere personale.
20. È come dire che la professione è finita… È bene iniziare senza pensare di farne un lavoro. O di farci dei soldi.
21. Meglio una vacanza con la famiglia o una missione con un giornalista? Famiglia! (ride). Non amo viaggiare con chi scrive. Bisogna scendere a troppi compromessi.
22. È un fotografo litigioso? Non voglio litigare con giornalisti o art director.
23. È un boomerang. Quella volta che ha mandato a quel paese un direttore di giornale… (Sorride)
24. In quale casa famosa vorrebbe vedere appese le sue opere? Nella casa di Henri Cartier-Bresson. Ma va bene anche la casa del proprietario di Cartier…
25. La sua paura più grande? Non sentire la sveglia e perdere un aereo.
26. Le è successo? Tre volte in 40 anni: ho mancato un volo per il Canada, uno per Amsterdam e uno per Milano.
27. A Milano per… Un party importante. Avevo sbagliato il giorno ed ero in India. Mi chiamarono dagli arrivi di Malpensa. Che figura…
28. È peggio un anno senza lavoro o un anno senza sesso? Un anno senza lavoro, scherza?
29. È un rischio che corre? In effetti no.
30. Che cosa compra all’aeroporto in attesa del volo? Adattatori per le spine.
31. Il suo gesto scaramantico? Se glielo rivelassi perderebbe il suo potere.
32. La prima cosa che fa appena sveglio. Controllo la mail
33. Dio esiste? Ognuno ha il suo, almeno credo.
34. Dice che per fare una bella foto bisogna aspettare i tempi della vita. Sembra un insegnamento buddista… Non sono buddista però la trovo una pratica gentile con gli altri e mi piace.
35. Che cosa la attrae? Ideali come la compassione, il pacifismo e il miglioramento personale.
36. Si può dire che le sue foto sono “gentili con gli altri”, anche se scattate in mezzo alla guerra? Si può dire. Ho trascorso molto tempo tra i monaci buddisti. Credo di aver assorbito buone vibrazioni.
37. Qual è la differenza con le altre religioni? Il rispetto, non c’è la smania di convincerti o convertirti. I monaci hanno uno sguardo non giudicante sugli altri. Questa è anche una grande lezione di fotografia.

38. La fotografia gentile è una tecnica? Non lo faccio apposta. Non ci puoi ragionare sopra, qui si tratta di emozioni.
39. Il fotogiornalismo deve essere fedele ai fatti o può prevalere l’artista? L’ideale è una fusione dei due atteggiamenti. Tra i fotografi: c’è chi ha un approccio più prosaico e chi sceglie chiavi interpretative personali.
40. E lei? Non mi trovo spesso “dentro la notizia” ma ho la fortuna di stare ai lati, camminare per strade e villaggi e così sono dentro un’avventura interessante o divertente. Avventura e divertimento sono alla base di tutto.
41. In una situazione come quella dell’11 settembre però, era dentro la notizia… Il mio quartiere era distrutto, non ero lì con un assignment. Ho scattato in modo del tutto istintivo.
42. Se guarda ora quelle immagini che cosa pensa? Che lì dentro ci sono io.
43. Sul versante opposto c’è il calendario Lavazza 2015 dedicato alla filiera del caffé. Un lavoro di anni su territori difficili. Al momento di scattare ha vinto la preparazione o l’emozione? La produzione del caffè condiziona la vita delle persone, influenza il loro modo di mangiare, di vestire, di gestire il paesaggio. Ho cercato l’elemento umano che unisce contadini brasiliani, colombiani, vietnamiti o etiopi. I trattori non mi interessavano.

44. Il caffè produce anche ingiustizie. Però le foto sprizzano allegria… Il fatto che ci sia bisogno di equità non significa che queste persone non conoscano la felicità. L’umore è indipendente da una vita semplice. È una felicità che si può vedere e fotografare.
45. Perché non la vediamo?Forse pensiamo che solo i ricchi possano essere felici.
46. Lei è ricco? (sorride, forse non ha capito la domanda…)
47. Ha vissuto con i monaci buddisti e frequentato decine di tribù. Quale l’ha più colpita?I Kalash vicino a Peshawar. Un’enclave pagana nel mondo musulmano. In estinzione.
48. Ha mai rischiato di essere colpito da una bomba? Tante volte me la sarei data a gambe.
49. È mai fuggito dal pericolo? La concentrazione sull’immagine ha sempre prevalso sull’istinto di sopravvivenza.
50. C’è qualcuno che pensa che i filtri di Instagram siano ispirati al suo uso della mitica pellicola Kodachrome. Questa è bella! Non sarò mica stato io l’unico a usare Kodachrome!
51. Ma è lei che ha lasciato l’impronta più grande, no? Vero.
52. Nel progetto Untold punta l’obbiettivo dietro le quinte, vuole ribadire che il fotogiornalismo è al capolinea? Non ci sono più grandi progetti. E neppure i mega incarichi per le riviste ma chi ha talento ha più possibilità di rendersi visibile on line. Sono ottimista.
53. Non pensa che tra autoproduzione, autopubblicazione e narcisismo, Internet rischi di fare danni? Accolgo l’obiezione. Una volta sapevi che i magazine come il New York Times avevano professionisti che selezionavano il meglio. Ciò non è paragonabile agli scatti telefonici per strada. Però mi piace pensare che la qualità vincerà.
54. Che cosa pensa dei non-luoghi come i mega aeroporti? Hanno reso invisibili gli umani. Incontriamo non-persone impegnate in non-passeggiate tra non-negozi. Senza poesia.
55. Perché è fissato con la gente che passeggia? Ehi, non sono fissato! Vorrei un mondo in cui le persone interagiscano con la loro storia, nelle loro strade.
56. Come ci si salva dalla mancanza di poesia? Appoggiando chi reagisce alla standardizzazione del mondo.
57. Per esempio? In Italia avete Slow Food…
58. Cibo è poesia? Vedere popoli a vocazione agricola che mangiano scatolette non lo è.
59. Quanti ne ha visti? Un po’. C’è chi pensa che inviare cibo sia il migliore degli aiuti.
60. Supportare le produzioni locali è complesso. Alla lunga porta sviluppo e abbassa la spesa sanitaria.
61. Cibo e pets sono le star della fotografia di Instagram, perché? Amo gli animali, danno gioia. Fotografare ciò che ci dà gioia è naturale. Capisco meno l’ossessione per il cibo.

62. Quali sono gli animali che l’hanno più emozionata? I cammelli tra i pozzi di petrolio incendiati durante la guerra del Golfo. Soffrivano nel caldo infernale, cercavano di fuggire senza riuscirci e non avevano acqua e cibo.
63. Che cos’è la curiosità? L’amore per la vita e per la continua scoperta del mondo. Il posto migliore per le va- canze. Ovunque mi trovi per lavoro. Fuggo dal set scopro posti nuovi.
64. È ossessionato dal lavoro? Assolutamente sì.
65. Qual è la differenza tra turista e viaggiatore? Un turista ha tabelle di marcia. Un viaggiatore non ha orari né mete da rispettare. E spesso non fa foto.
67. E lei è… Io a volte mi sento un turista. Ma senza il tour operator che mi richiama all’ordine.
68. Cosa la richiama all’ordine? I cambiamenti di luce.
69. Ovvero? Non scatto in pieno giorno e mi piace studiare le peculiarità di certe luci a certi orari. Quindi la mia deadline è dettata dalla luce.
70. Quali luci? Lampioni, insegne dei negozi, fonti inaspettate.
71. Ha realizzato il “Cal” 2013 per Pirelli, ora il 2015 per Lavazza. Le aziende italiane siano più sensibili alla fotografia? Avete una gran fetta delle bellezze mondiali e una buona cultura visuale. Presumo che anche le aziende siano più sensibili.
72. Pensa alla pensione? Che ne sa, potrei esser già in pensione!
73. È così? No, scherzavo.
74. Dunque? Non si va in pensione da ciò che si ama.
75. Non ha passioni da coltivare quando allenterà il lavoro? Farò foto fino all’ultimo.
76. Non trova che ci sia qualcosa di nevrotico in questa scelta? L’unica cosa che ci vedo è la differenza tra “fare” il fotografo ed “essere” un fotografo.
77. Che cos’è la noia? Non conosco. Conosco meglio la fatica.
78. È più faticoso fare centinaia di km a piedi in Afghanistan o rispondere a 100 domande? La seconda e lei lo sa (ride).
79. Chi è la donna che vorrebbe fotografare? Non sono un collezionista di top model!
80. Con le modelle pare a suo agio… Donne come Isabeli Fontana (Cal 2012 Pirelli, ndr) possono farti innamorare, sa?
81. Il segreto dell’empatia? Non lo so. Si attiva con o senza la fotocamera in mano.
82. La differenza tra chi posa e gli altri soggetti. Ritraggo le per- sone per quello che sono. Accetto la posa solo con le modelle è perché fa parte di loro.
83. La loro spontaneità è la posa? Si raccontano così.
84. Qual è la foto che non ha ancora scattato? Non lo so e non lo voglio sapere. Sarà lei a farsi viva e a sorprendermi.
85. Qual è il suo prossimo progetto? Bere un calice di Barbaresco prima possibile.

86. Conosce bene i vini italiani? Sono innamorato dell’Umbria e del Montefalco.
87. Un colpo di fulmine? Sì, mentre ero nella vigna che facevo…
88. Mi faccia indovinare, mentre scattava! Esatto (ride).
89. Qual è la sua città del cuore? New York, dove vivo.
90. E quella in cui è nato? Philadelphia. Lì c’è il mio studio e il mio boss.
91. Lei ha un boss? Mia sorella. Lavora con me da 20 anni.
92. Si diverte perché sua sorella fa il lavoro sporco… Senza la sua organizzazione sarei finito.

93. Vorrebbe dirle qualcosa? Grazie.
94. Solo a lei? Dovrei ringraziare molta gente.
95. Si annoierebbe tra le fatture? Chi mi rappresenta e gestisce i miei impegni mi garantisce la libertà e la serenità del lavoro.
96. Come se la cava con il web? Se lo studiassi forse potrei rispondere. Ci sono nuove competenze da rispettare. Io sono come un automobilista: ho la patente ma se ho bisogno vado dal meccanico.
97. Mi dice i nomi dei suoi collezionisti? No.
98. Almeno uno. In genere, i titolari di tutte le aziende con cui lavoro poi diventano collezionisti.
99. Che cosa si augura che racconti al pubblico la mostra alla Villa Reale di Monza. Che ognuno possa vederci riflesso qualcosa di sé .
100. È stanco? Le domande che mi ha fatto erano molte più di cento.
(via marieclaire.it)