Fuorisalone 2019 per visitatori irritati

Immersione in una kermesse che ricorda una sagra di paese: un Fuorisalone molto street food, molti artigiani under 30 e, tra i passanti, poca, pochissima cultura del design italiano

La prima regola del Fuorisalone di Milano è parlare male del Fuorisalone di Milano. Salvo poi finire per immergersi ogni volta nel clima da sagra molto fighetta, a scroccare birre e a fare uno shopping “indie” tra bancarelle e temporary store.

Sempre meno a che vedere con il Salone del Mobile, quello in fiera. Qui si vendono borse, zainetti, bijoux. Piadine e ciotole hawaiane con la droga dei millennial, l’avocado. Finger food e vecchi merletti. Musica, sì, ma senza troppi dj. L’area simbolo di questa deriva pop (ma molto allegra e conviviale) è zona Tortona.

Gli esperti di design sono pochi e indispettiti da chi porta troppo colore addosso. I non esperti di design sono i turisti della nuova Milano, quella che fa un mezzo sorriso all’Europa. Sono qui ma non sanno che sono qui e perché sono qui ma è tutto molto amazing.

Sfondi suggestivi per farsi i selfie ne abbiamo? Certo che sì. File chilometriche per qualche experience di vero design? Anche. Se il format sagra ha un futuro, l’anteprima è stato il Fuorisalone 2019. Ma in mezzo a tutta questa gente c’è sempre qualcuno, come in questo video, che ha dei guizzi di pensiero laterale: «Questa non è una sagra di paese, è una sagra di città». Appuntamento al 2020