Evgenij Morozov: i Big Tech sono il diavolo travestito da Madre Teresa

Intervista al principale critico del web utopism. Che mette in guardia dal concetto distorto di Smart City e dall’intelligenza artificiale manipolatoria.

Quando Rick Deckard-Harrison Ford, innamorato cotto della bella androide Rachel scorrazzava nel mondo elettronico e piovoso di Blade Runner, Evgenij Morozov non era ancora nato. Quando Lori-Sharon Stone menava Doug Quaid-Arnold Schwarzenegger reso mansueto da un microchip nel cervello (Atto di Forza, 1990), lui era soltanto un bambino bielorusso di 6 anni che giocava tra i palazzi della città mineraria di Salihorsk.

Con candore Morozov ammette che nemmeno Il quinto elemento, dove Bruce Willis e Milla Jovovic combattono contro una tecnologia che controlla severamente le città e gli umani, ha avuto qualche influenza sul suo pensiero. Quando uscì quel film aveva 13 anni e altre cose per la testa. 

Eppure, l’unico antieroe tecnologico su cui il mondo può contare dopo 20 anni di dittatura di cyber-ottimismo è lui. Un sociologo, un filosofo, un figlio di minatori che ha studiato ad Harward. Occhialetti e sorriso nerd, Evgenij Morozov è un instancabile accusatore della Silicon Valley: i suoi nemici sono i Signori del Silicio come li ha chiamati in un feroce pamphlet. Quelli che ci hanno venduto e ci stanno vendendo una tecnologia falsamente amica che ha lo scopo finale di controllarci tutti, in tutti gli ambiti della nostra vita.

Nei suoi libri Morozov aveva ampiamente previsto lo scandalo Cambridge Analytics con i relativi furti di dati da parte di Facebook. E mentre lo accusano di essere “contro il progresso” oggi Morozov ci mette in guardia da un 2019 in cui trionferà l’Intelligenza Artificiale, nelle nostre case, nelle nostre città, nelle nostre vite.

Ad ammorbidire le sue ipotesi distopiche di un futuro prossimo alla Black Mirror, per fortuna, c’è l’amore. Un amore italiano, manco a dirlo, quello con Francesca Bria, 37enne romana oggi assessore all’innovazione del comune di Barcellona, in Spagna. I due hanno appena pubblicato Smart city (Sonzogno) dove si cercano risposte alla grande domanda: come evitare che gli strumenti tecnologici al servizio dei cittadini sfuggano dalle loro mani?

In questo libro usate parole terrificanti come “piattaforme predatorie”. Dobbiamo avere paura delle prossime città smart?

Più che altro dobbiamo avere consapevolezza che le grandi società digitali sono protagoniste di un nuovo capitalismo appunto predatorio. 

Chi sono i cacciatori e le prede?

Airbnb e Uber, solo per fare degli esempi eclatanti, sono entrate nelle nostre città con grandi investimenti economici, distruggendo gli equilibri e sostituendosi alle amministrazioni pubbliche, al welfare che gli stati non sono più in grado di garantire dopo la crisi epocale degli anni scorsi.

Lo vada a spiegare ai milioni di giovani precari che con queste piattaforme ci tirano fuori uno stipendio.

È vero, loro vedono il fenomeno come un’opportunità che li fa sentire fighi grazie alla maschera, disegnata ad arte, dell’appartenenza alla “smart community”. Però molti di loro oggi stanno capendo che sotto sotto è una fregatura. A Barcellona i ragazzi sostengono le iniziative delle istituzioni che vogliono mettere delle regole.

Perché, senza regole che cosa succede, falliscono alberghi e taxisti?

È un errore considerare il pensiero ribelle contro queste big company come una resistenza corporativa del vecchio contro il nuovo. Queste società non pagano le tasse nel territorio in cui operano e così le amministrazioni perdono il loro potere. In queste città Luna Park, con un turismo sregolato, il mercato degli affitti si distorce, l’economia si piega ai grandi capitali, finiscono le risorse per aiutare le fasce deboli. Le piace questo quadro?

Non proprio. Ci sarà una via d’uscita, o no?

Naturalmente c’è, perché le città stanno imparando a ribellarsi. E nel 2019 cominceremo a vedere dei risultati. Faranno sempre più ricorso alla democrazia partecipativa, un modello che mette l’interesse dell’uomo davanti a quello dei capitalisti digitali, i Big Tech. Non solo Barcellona, ma anche Amsterdam, Copenhagen, Trento, Bolzano le istituzioni si stanno impegnando a proteggere i dati dei propri abitanti e a diffondere l’idea che l’encryption (ovvero la crittografia, che rende inaccessibili le informazioni private senza autorizzazione, ndr) fa parte dei diritti umani. Che la proprietà dei dati è e deve rimanere dei cittadini.

E pensare che miliardi di persone hanno creduto che Facebook fosse vera democrazia…

Già, e così hanno regalato miliardi di informazioni a persone che le hanno utilizzate per fare soldi, fare eleggere politici, dare una direzione all’economia, alla finanza, agli investimenti. Se questi stessi dati fossero usati per migliorare la vita dei cittadini, per creare infrastrutture, veri servizi e per ridurre le differenze sociali avremmo città più etiche che non permettono a questi pochi soggetti ricchissimi di subentrare agli stati in bancarotta. L’Europa deve raggiungere una sovranità digitale.

Senta Morozov, lei ha idea di quanto è seccante dover acconsentire all’utilizzo dei dati ogni due minuti?

Le dirò, non basta. Per essere davvero trasparenti queste società dovrebbero dirci esattamente che cosa intendono fare con i nostri dati. Per farci gli auguri di buon compleanno o per persuaderci a comprare cose? Perché magari per alcuni usi di questi dati dovrebbero e potrebbero pagarci. Per altri invece sarebbe giusto darne accesso solo ai comuni o alle regioni che ne possano fare un uso politico onesto, nel senso di bene comune. Nel 2019 c’è un nuovo modello culturale da costruire, dobbiamo imparare a scegliere di chi fidarci quando siamo davanti a uno schermo.

Pensare, davanti allo schermo, non è facile, siamo connessi tutto il giorno, le dita vanno più veloci del cervello e non tutti hanno la sua forza di volontà, di mettere per ore il telefono in cassaforte per non essere disturbato…

Beh, ma ora non posso più farlo, ora sono un uomo sposato e non ho più la libertà di isolarmi (ride e guarda la moglie Francesca Bria, che ha partecipato a questa intervista). Però pare che una catena di hotel della East Coast americana offra soggiorni con sequestro e custodia in cassaforte dello smartphone. Copioni.

Va bene, quindi l’anno che verrà sarà quello del gran risveglio delle coscienze?

Dovrebbe esserlo. Oggi possiamo dire che Facebook non è più vista come un’azienda pericolosa, ma come un’azienda che si ripensa e si rimette in gioco, il che è un passo avanti. Affrontiamo il prossimo anno con politici molto agguerriti che eserciteranno una grande pressione sui big tech. Questo è stato probabilmente l’unico argomento sul quale Donald Trump e Bernie Sanders si sono trovati d’accordo durante i loro dibattiti. Troppa libertà d’azione è stata data a imprese come Amazon nelle sue spedizioni, troppa leggerezza è stata concessa nel reclutare fattorini sottopagati come quelli di Foodora. 

Dobbiamo aspettarci leggi severe, allora.

Che Amazon abbia acquisito un potere economico senza eguali in un solo anno è fuori discussione, che questo debba essere contenuto è chiaro a tutti. Ma oltre ad attacchi politici, contro i Big tech, soprattutto in America non mi aspetto il varo di leggi lampo per arginare aziende in espansione. È noto che negli Stati Uniti sono i giudici a muoversi prima, perché gli esiti delle cause con risarcimenti miliardari possono cambiare le strategie aziendali. Ma non è affatto detto che questo avvenga nei prossimi mesi.

Quanto contano in questa bufera le categorie ideologiche come progressista/conservatore, destra/sinistra.

Direi niente. Se vogliamo vedere delle fazioni nel dibattito, dobbiamo usare una parola complessa come Data Extractivism.

Accidenti! Traduca il concetto meglio che può.

La ricerca di nuovi utenti a cui estrarre interazioni, parole, comportamenti, dati, è serrata. È per questo che tutto è gratuito: ci offrono qualche emozione qualche divertimento e noi in cambio regaliamo ai Big tech tutto quello che gli serve per forgiare un’intelligenza artificiale sempre più efficace. In questa attività c’è chi vede il diavolo travestito da Madre Teresa e in effetti può essere così. Altri invece sono più possibilisti e portano un esempio come Google Arts & Culture, dove l’utente aiuta certamente l’attività di machine learning (una umanizzazione della macchina) ma ne riceve in cambio cultura, senza truffe. 

E quando l’intelligenza artificiale avrà raggiunto quella umana?

Allora basta, i big tech non avranno più bisogno di utenti. Che saranno ripagati con contenuti spazzatura gratuiti generati automaticamente, mentre chi potrà permetterselo avrà accesso a delle meravigliose piattaforme premium.

Con 58 milioni di smart speaker venduti nel 2018 e un boom previsto per questo Natale, è certo che nel 2019 tutti noi impareremo a parlare con gli assistenti vocali di Amazon, Google, Apple. Sarà più facile o più difficile difendere le proprie informazioni?

Ancora non si sa. Certo però che negli acquisti Alexa (l’assistente vocale di Amazon) approfitterà della sua posizione dominante e potrebbe avere ancora più potere nell’imporci un prodotto al posto di un altro. Perché mentre chiediamo: «Alexa, vorrei una bicicletta» non siamo alla tastiera e quindi sarà più facile accontentarci dei primi risultati che alexa ci propinerà. Noi non approfondiremo più e Amazon acquisirà un pezzo di potere in più.

Morozov, è proprio sicuro di non aver passato l’infanzia a guardare film cyberpunk stile Blade Runner?

Ho visto film, letto libri di fantascienza, ma quello che sono e che faccio non può essere in alcun modo associato a questi filoni letterari o cinematografici. E il motivo è semplice: al momento non esiste alcuna forma di tecnologia in grado di togliere all’uomo la possibilità di scegliere.